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martedì 18 agosto 2009

Con il mio blog faccio tremare la Cuba di Raúl

Wirepullers: Cuba sta finalmente vivendo una fase di transizione, verso quale futuro però non è dato saperlo. Il passaggio dal regime di Fidel al castrismo in tono minore del fratello Raul ha portato con se qualche timida riforma nel sistema cubano e qualche apertura sul fronte dei diritti umani e civili. Sostanza o apparenza? Ci risponde Yoani Sanchez, una trentaquattrenne che con il suo blog Generacion Y racconta in presa diretta come si vive davvero nell'isola caraibica, creando non pochi grattacapi al regime. E' lei a rappresentare l'unico vero fenomeno rivoluzionario a Cuba da moltissimi anni a questa parte. (1)

«Non mi lasceranno venire alla Fiera del libro di Torino perché faccio una critica che mette a nudo il Potere»

Yoani Sánchez, com'è nato il suo blog e perché si chiama Generación Y?
«L'ho cominciato ad aprile 2007 per un impulso personale, per il bisogno di raccontare tutto quel che non appare nella stampa nazionale. Generación Y perché tanti cubani tra i 25 e i 40 anni hanno i nomi che incominciano per Y come Yanisleidi, Yoandri, Yusimí, Yuniesky. Era uno dei pochi modi che i nostri genitori avevano di sbizzarrirsi con la fantasia, un fenomeno linguistico molto interessante che nasce da una generazione che ha vissuto sulla propria pelle la frustrazione del processo sociale».

Lei ha scelto di raccontare la vita di Cuba come se la vedesse dal balcone di casa sua. Che cosa ha trovato?
«Che nella quotidianità cubana si accumulano tanti demoni, l'apatia, l'indifferenza, le frustrazioni, le limitazioni materiali, tutto ciò fa sì che le persone facciano fatica a concentrarsi in un progetto personale. Oltre a farsi una famiglia non possono pensare altro».

E perché giorno per giorno?
«Per far capire a chi legge le emozioni del mio animo, quando le mie energie sono basse, quando mi sento male per le difficoltà economiche, il che ha creato un rapporto forte con il lettore».

Il suo blog è diventato un caso internazionale e lei un simbolo della lotta al regime. Ma lei si sente simbolo?
«Non era questa la mia intenzione, non immaginavo che il blog si convertisse in un grande fenomeno. La Rete lo ha fatto diventare un caso internazionale, ma alla base di tutto rimane la necessità di noi cubani di poter avere una piazza pubblica. Io ne sono il simbolo? Può darsi. Per me per ora il simbolo è Generación Y, la piazza virtuale in cui far circolare idee sperando che in futuro diventi uno spazio reale. Il resto l'hanno fatto i commenti dei lettori con la loro energia e i molti interventi».

Lei ha ricevuto premi letterari in Europa, ma non ha potuto ritirarli perché le è stato vietato lasciare Cuba. Come ha vissuto questi divieti?
«Come fossi un bambino a cui il padre proibisce di allontanarsi. Continuamente a Cuba dobbiamo chiedere permessi, figurarsi per uscire dal Paese. Questo Gran Padre autoritario che è lo Stato Cubano identifica e giudica i cittadini per il colore delle loro idee e concede i permessi in base a questo. Il costo personale che ho dovuto pagare per il mio blog è appunto non poter uscire da Cuba. L'ho vissuto come una grande impotenza e l'ho sostituito col viaggio virtuale».

Adesso Cuba le vieta di venire a Torino alla Fiera del libro. Eppure qui si ha la sensazione che da un giorno all'altro lei possa avere il permesso.
«A me piacerebbe tantissimo materializzare questo viaggio, ma non lo credo. Il governo cubano non potrebbe mai autorizzarmi, se lo facesse dovrebbe fare altrettanto per i tanti altri casi simili al mio che si stanno moltiplicando nell'isola. In questo momento delicato, di transizione non se lo può permettere. Qualsiasi cambiamento anche piccolo potrebbe rodere il potere. Raúl e i suoi sanno di dover implementare qualche cambiamento ma non un'apertura che gli tolga il potere e cambi radicalmente la società cubana. Magari fosse così».

Perché altri scrittori cubani - il più famoso è Leonardo Padura - possono venire in Europa e lei no?
«La maggior parte di essi rappresenta la burocrazia intellettuale che sta sotto l'ombrello dell'Unione degli scrittori di Cuba, anche quando la loro letteratura è critica e mantiene le distanze dal potere. Io faccio una critica dove non c'è niente di innocente, niente che non sia intenzionale e utilizzo una violenza verbale che metta a nudo i concetti di socialismo, rivoluzione, dittatura denunciandone il limite fondamentale: aver violato la coscienza delle persone».

Nel 2002 lei aveva lasciato Cuba per la Svizzera. Che cosa l'ha convinta a tornare?
«La famiglia che avevo lasciato all?Avana, la difficoltà di vederci. In Svizzera ho scoperto Internet ma la mia vita era a Cuba, sia pure in un?altra Cuba».

Lei sa che in Europa molti ambienti politico-culturali approvano la Rivoluzione Cubana, pensano che Fidel e Che Guevara abbiano liberato l'isola dalla schiavitù e già solo per questo sono scettici verso il dissenso. Cuba sarà anche cambiata dai tempi di Batista?
«Innanzitutto voglio dire a tutti quelli che sono innamorati della Rivoluzione cubana che da tanto tempo non abbiamo più una rivoluzione, abbiamo una dittatura che controlla la società; le rivoluzioni non durano cinquant'anni, sì ci sono stati tanti cambiamenti ma ad un prezzo troppo alto. Ed è impossibile pensare che comunque - socialismo o no - Cuba non avrebbe avuto uno sviluppo sociale al passo con i tempi».

La conferenza di Trinidad e Tobago apre le speranze per il disgelo con gli Usa. Cosa se ne dice all'Avana?
«Tra i cittadini c'è entusiasmo e allegria, l'idea che finalmente Obama possa superare la formula dello scontro in atto da cinquant'anni, e che ha funzionato perfettamente perché Fidel giustificasse all'interno il disastro economico e la mancanza di libertà. Ma per quel che ne so la stampa socialista si mostra molto cauta anche se credo che "Granma" non abbia riportato esattamente le parole di Obama. Francamente non riesco ad immaginare come si può costruire un discorso politico a Cuba senza additare il Mostro capitalistico come responsabile di ogni male».

Hillary Clinton ha detto che cinquant'anni di embargo sono stati un disastro per la politica nordamericana. E per Cuba?
«Ha funzionato dato che è stato lo strumento ideale che gli Stati Uniti hanno regalato a Fidel per convincere tutti i cubani di essere prigionieri e isolati dal Mostro. Ma ormai tutti ci rendiamo conto che non è più così, che non siamo David contro Golia, siamo cittadini del mondo bisognosi dei diritti che tutti gli altri hanno. E per il governo sarà molto più difficile controllare».

Quali speranze nutre in Obama? E in Raúl Castro?
«Obama è un uomo che si muove con il ritmo del nostro tempo. Raúl no, è un uomo del Ventesimo secolo, che ha ereditato il potere per sangue e successione dinastica. Non ho fiducia nel suo ruolo di presidente, ma siamo noi cittadini a dover fare i primi passi».

Quelle di Raúl sono vere riforme?
«Finora no. Sono rimedi cosmetici molto superficiali che non hanno influito nella vita quotidiana. Ha aperto ai cellulari e all'acquisto dei computer solo per legittimare quanto già accadeva con il mercato nero. Resta il fatto che il peso cubano non é convertibile dunque non esiste un minimo di libertà civile né economica, che permetta di comprare un'auto, una casa, non è favorita la nascita di piccole imprese che possano produrre un minimo sviluppo per non dire della libertà di dar vita a gruppi di opinione, gruppi ecologici, sindacati, partiti politici o giornali differenti da quelli del regime».

Dopo il blog ha idea di scrivere un romanzo di fantasia?
«In questo momento sto scrivendo un manuale per blogger cubani, per spiegare come superare gli ostacoli più difficili, ma vorrei sì scrivere un romanzo molto post-moderno e pazzo che stia tra il mondo virtuale e quello reale».

Che cosa crede accadrà alla morte di Fidél?
«Molto cambierà anche se questo è un Paese abituato a identificarsi in un solo uomo. Per ora la malattia è stata usata come arma di transizione, ma Fidel continua ad avere un peso simbolico importante per i cubani, tuttavia il futuro è già cominciato e non potrà proseguire sotto la volontà di un uomo al comando. Per ora Fidel ha consegnato una sua riflessione a "Granma" sulle dichiarazioni di Obama. Naturalmente lo critica, dice che la conferenza panamericana non è stata affatto importante, ma quel che si capisce è che il regime sta scegliendo la prudenza».

Intervista di Sergio Buonadonna

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il blog di Yoani Sanchez è tradotto in italiano da GORDIANO LUPI (www.infol.it/lupi) per LA STAMPA: www.lastampa.it/generaciony. Gordiano Lupi ha tradotto CUBA LIBRE, il primo libro di Yoani Sanchez in Italia (Rizzoli) ed è lui che ha scoperto e lanciato l'autrice in Italia. Perchè devo sempre ricordalo io?

Gordiano Lupi

The Wirepullers ha detto...

Egregio Gordiano,

la ringraziamo per aver traghettato in Italia l’acume di analisi di Yoani Sanchez. Del resto, la sua attenzione per il mondo latino americano non ci era sfuggita, poiché il suo blog già figurava tra i nostri “preferiti” (http://www.infol.it/lupi/).

Quanto agli articoli che abbiamo riproposto, riportando scrupolosamente la fonte, beh, la segnalazione del traduttore mancava proprio sulle fonti primarie. Gli editori si sono dimenticati di citarla o le interviste non le ha tradotte lei? Nel primo caso, saremmo ben felici di citarla (cosa che, come può vedere nei post più vecchi, non è ancora mai stata fatta con nessun altro traduttore).

Ci auguriamo continui a seguirci con la stessa attenzione che ha dedicato ai post su Cuba e la ringraziamo per il suo commento.

The Wirepullers