
Non voglio credere che la scelta del governo tedesco nel caso Opel sia stata dettata da un pregiudizio anti-italiano. Credo anzi che la proposta della Fiat fosse in queste circostanze quella più conforme alle logiche aziendali e al rigore economico di cui la Germania ha dato prova in altre circostanze. Il «tedesco», in questa faccenda, è stato Marchionne. Di fronte al disegno che prevedeva la nascita di un grande gruppo automobilistico euro-americano, ma avrebbe comportato qualche inevitabile sacrificio, il governo di Angela Merkel, invece, ha preferito la soluzione che garantisce, a breve termine, il mantenimento degli organici delle ditte praticamente fallite. Non è una decisione lungimirante. Prima o dopo la nuova Opel dovrà affrontare il problema delle sue dimensioni nel mondo e chiedersi se il futuro non sarebbe stato meglio garantito dalla soluzione prospettata da Sergio Marchionne. Ma, al momento della stretta finale, hanno prevalso due fattori.Il primo è di breve respiro. A quattro mesi dalle elezioni, i due alleati della coalizione tedesca hanno affrontato la crisi dell’Opel tenendosi d’occhio sospettosamente, ciascuno dei due pronto a trarre il massimo profitto dagli errori dell’altro. Può darsi che qualche esponente del partito cristiano-democratico avesse compreso l’interesse della proposta di Marchionne. Ma Angela Merkel ha preferito non correre rischi.Il secondo fattore è l’esistenza nella società tedesca di una potente lobby russa. Non penso soltanto a Gerhard Schröder, ai suoi rapporti con Putin, alla disinvoltura con cui ha dapprima favorito, come cancelliere, una grande iniziativa russo-tedesca (il gasdotto del Mare del Nord) e assunto poi la presidenza di uno dei suoi organi direttivi. Penso alla convinzione, molto diffusa nella società tedesca, che Germania e Russia siano felicemente complementari e che la prima, grazie ai suoi capitali e alla sua tecnologia, possa recitare, in qualsiasi operazione congiunta, la parte del partner anziano.
I due Paesi si sono ferocemente combattuti, ma la storia della presenza tedesca nella economia russa e degli accordi più o meno segreti conclusi dai due Paesi è più lunga di quella delle loro battaglie.Comincia con la prima industrializzazione russa, fra l’800 e il ’900, e continua con il Trattato di Rapallo (1922), con la collaborazione militare ed economica del decennio successivo, con il trattato di amicizia e il protocollo segreto del 1939, con la impetuosa ripresa dei rapporti economici dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La lobby, anche in questo caso, ha vinto la sua partita. Ma potrebbe avere dimenticato che le partecipazioni azionarie russe, in questo momento, sono spesso opache e poco rassicuranti.L’affare Opel si presta a qualche riflessione sulla politica italiana.Il presidente degli Stati Uniti, in questa faccenda, non aveva altra scelta fuor che quella di accettare la decisione garantita dal governo di Berlino, ma il vertice telefonico fra Merkel e Obama, nelle scorse ore, mette implicitamente in evidenza l’assenza del governo italiano. So che gli interventi sono utili quando sono accompagnati da garanzie finanziarie e che l’Italia, in questo momento, non era in grado di offrire alcunché. Ma il confronto tra la serietà delle trattative di Berlino e la litigiosa frivolezza della politica italiana, soprattutto nelle ultime settimane, non è edificante.
Autore: Sergio Romano
F0nte: www.corriere.it
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