
Wirepullers: curiosa amicizia quella tra il premier Berlusconi e il leader libico Gheddafi. Petrolio, immigrazione clandestina, banche....vediamo i retroscena di una visita che ha avuto un forte riscontro mediatico in Italia, provando a immaginare cosa potrebbe pensarne Enrico Mattei. (1)
Sullo sfondo della visita del leader libico, le grandi commesse d’oro nero e gas dell’Eni. In gioco 28 miliardi di dollari e l’accesso a un’enorme riserva d’idrocarburi. —
Ha parlato chiaro, ieri il leader libico Gheddafi nelle sue numerose esternazioni. «La Libia ha il petrolio di cui l’Italia ha bisogno», ha detto, con una scusabile mancanza di bon ton. E, in effetti, il valzer di cordialità tra i due istrionici leader mediterranei profuma di idrocarburi, oltre che dell’odore del traffico di esseri umani.
Il nostro Paese importa dalla Libia un quarto del petrolio utilizzato in Italia e il 10% del gas naturale, anche grazie alla costruzione del gasdotto Greenstream, che dal 2004 collega Mellitah a Gela. L’Eni è di gran lunga l’industria straniera più incardinata nell’economia del Paese nordafricano ed è al primo posto tra gli operatori stranieri, come ha numerose volte spiegato l’Ad Paolo Scaroni: «La Libia è il nostro maggior fornitore».
Tanta fedeltà è stata del resto ripagata con l’intesa che l’industria di stato libica e l’Eni hanno firmato nel 2007, in pieno governo Prodi (D’Alema ministro degli Affari esteri, vale la pena di ricordare anche per inquadrare più recenti posizioni). Con quel contratto di sfruttamento delle riserve di greggio africane l’Eni ha prolungato la sua attività in loco fino al 2042 per il petrolio e al 2047 per il gas, un’assicurazione di lunga vita per il cane a sei zampe.
Che sta investendo la metà di 28 miliardi di dollari nel Paese di Gheddafi: al resto pensa la Noc, la società di stato libica. A far gola agli italiani (e naturalmente non solo a loro) non sono solo le riserve che vengono attualmente sfruttate quanto le ricche prospettive future.
Se, infatti, la Libia è a oggi ferma al nono posto tra i grandi produttori di petrolio con una produzione quotidiana di circa 2 milioni di barili al giorno, le stime di quello che resta da scoprire e sfruttare la fanno balzare ben in alto nella lista dell’Opec, con una riserva di circa 65 miliardi di barili incamerata sotto le sabbie del deserto o nei fondali del Golfo della Sirte.
Un mare di oro nero che la mette ai livelli di produzione degli Emirati Arabi e del Kuwait. In effetti, a far salire di tanto le quotazioni internazionali di Gheddafi è il fatto che così a lungo la Libia è stato un mondo a parte. L’Italia, soprattutto grazie alle intermediazioni di stampo andreottiano, ha sempre mantenuto un’invidiabile posizione nel cuore dei libici, nonostante le dichiarazioni al calor bianco contro il colonialismo fascista e i suoi guasti.
L’Eni non ha mai sostanzialmente interrotto il suo lavoro in loco. Ma il resto del mondo si è autoescluso dai ricchi giacimenti libici con l’embargo di Reagan nel 1986 contro il supporto al terrorismo di Gheddafi. Solo nel 2004, con il superamento degli embargo di Onu e Usa, la Libia ritorna sulla scena, come terra di conquista del mercato mondiale affamato di petrolio.
Il Paese è tra quelli più lontani dal raggiungere l’ormai famoso picco di produzione, quello che sta sconvolgendo le speranze dei signori dell’oro nero di continuare a fare il bello e il cattivo tempo nel mercato dell’energia.
Un bel regalo a Gheddafi: il Paese conta per metà del suo Pil sulle esportazioni di petrolio. In epoca governo Prodi qualcuno provò anche a tingere di verde il nero degli idrocarburi, dando il via un progetto sul solare termodinamico. Oggi, nonostante l’accordo firmato con Techint sia ancora in essere, il risultato è zero. Del resto, si sa, finché dura, il petrolio è un destino segnato in Paesi per (governanti) vecchi come il nostro.
Autore: Simonetta Lombardo
Fonte: www.terranews.it
Nessun commento:
Posta un commento