
La carenza di una chiara leadership europea preoccupa i membri dell' unione. Con il Trattato di Lisbona si aprono diversi scenari interessanti. Barroso verso la riconferma?
La ratifica del Trattato di Lisbona da parte dei vari stati membri dell’Unione Europea sta arrivando a conclusione. Ma l’approvazione pura e semplice non risolverà d’incanto i problemi decisionali dell’Europa, come molti ingenuamente sostengono. Servono nuovi leader in grado di interpretare le novità istituzionali previste dal nuovo trattato. Altrimenti l’Europa sarà condannata all’irrilevanza politica.
E’ di qualche giorno fa la notizia dell’approvazione da parte del Senato della Repubblica Ceca del Trattato di Lisbona. Un risultato non scontato, che ha riportato l’attenzione della stampa europea su un tema accantonato negli ultimi mesi. Mantenendo fede al suo euroscetticismo, il presidente ceco Klaus ha subito dichiarato di voler attendere l’esito del voto irlandese per firmare la ratifica definitiva del suo paese. Il potere di vita e di morte è infatti ora tutto nelle mani dell’Irlanda, che a settembre, dopo il voto negativo di un anno fa, chiamerà di nuovo i suoi cittadini ad esprimersi per via referendaria sull’approvazione del trattato. Già, il trattato. Da quindici anni a questa parte parlare di Europa politica significa, volenti o nolenti, entrare nel regno dell’istituzionalismo duro e puro. E’ ormai diventato un mantra dei paladini dell’europeismo ripetere che l’approvazione del Trattato di Lisbona darà finalmente una base politica rafforzata al processo decisionale europeo. Certo, le novità sotto il profilo istituzionale sono tante ed importanti, ed elencare le più significative è sempre opportuno: la presidenza stabile del Consiglio, l’alto rappresentante per la politica estera che diventerà anche vicepresidente della Commissione e disporrà di un proprio corpo diplomatico, il superamento dell’unanimità in molti settori nel voto del Consiglio, il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo e dei parlamenti nazionali etc. Però, fino a prova contraria, diritto e politica non sono la stessa cosa, con buona pace dei giuristi. La politica sono le persone. Meglio, la politica sono i leader.
Qui sta il punto che pochi sollevano. Mai come in questo periodo l’Europa sta soffrendo di una drammatica carenza di leadership politica. Passato il ciclone Sarkozy, da mesi non si registra un intervento significativo da parte di un leader europeo, qualcuno che provi a indicare la rotta, a disegnare delle sfide ulteriori per il processo d’integrazione, a evocare nuovi traguardi. Niente, il nulla totale. Nessuno che abbia almeno il coraggio e l’onestà di raccontare in maniera realistica la “malattia dell’Europa”, come l’ha recentemente definita Tito Boeri, e le sue conseguenze. No, solo formule di rito e retorica, o ripieghi nella scena nazionale. Altro che gli Schuman e gli Adenauer. Qui gigante dell’europeismo rischia di diventare in confronto lo Joschka Fischer del discorso di qualche anno fa all’università Humboldt di Berlino.
Tornando al dibattito sul Trattato di Lisbona, quello che bisogna evitare è creare della cattiva retorica. Il che vuol dire che non può essere affrontato un discorso serio sulle istituzioni separandolo da quello sulla leadership. Ed è proprio nello spazio futuro disegnato dalle innovazioni costituzionali cui sopra si faceva riferimento che questo tema va inserito. E’ infatti giunto il tempo di interrogarsi sugli “attori” chiamati ad interpretare i nuovi ruoli politici previsti dal trattato, e sulle loro qualità. Serve una responsabilizzazione politica di questi incarichi, se davvero si vuole sperare in un’Europa politica funzionante. Per intenderci, non è con i Barroso e i Solana, per quanto rafforzate le competenze ed i poteri dei loro ruoli istituzionali possano essere, che si riuscirà a farlo. Fuori i nomi, cominciamo a discuterne quindi.
Si parla da tempo di Blair alla nuova presidenza del Consiglio, bene, che lo si faccia in pubblico, che si apra un dibattito su quali sono le sue proposte e le sue idee, che le aggregazioni politiche europee si esprimano in maniera aperta, proponendo dei loro nomi. Lo scenario attuale per la verità lascia pensare il contrario. Pensiamo all’incapacità del PSE di proporre un candidato alternativo alla sempre più probabile riconferma di Barroso alla presidenza della Commissione. Ma la causa di tutto questo non dipende soltanto da quanto lamentava qualche tempo fa Giuliano Amato, ovvero che oggi tutti i leader politici europei (Sarkozy,Brown, Merkel, Zapatero) sono leader nazionali, e che hanno quindi più interesse a coltivare il consenso all’interno dei propri confini interni piuttosto che ad arrischiarsi in avventure europee. Con la cooperazione rafforzata e le geometrie variabili sostenute in molti articoli del Trattato di Lisbona, sono gli stessi leader nazionali che avranno uno spazio enorme per costruire progettualità europee attraverso percorsi decisionali fino ad oggi poco utilizzati. A patto che siano capaci di disegnare delle strategie, di interpretare il “salto” politico contenuto nel nuovo trattato. L’euro in fondo è nato da una cooperazione rafforzata sull’asse franco-tedesco, promossa e sostenuta da leader nazionali. Schengen pure.
Il problema non è però solo delle classi politiche europee nel loro insieme, ma anche di chi l’Europa la osserva e prova a raccontarla nel dibattito pubblico. Dove sono finiti gli intellettuali europei più volte radunati da Habermas negli anni passati per intervenire su vari aspetti del processo d’integrazione? E perché non c’è una nuova generazione in grado di prenderne il posto? Ancora, perchè i vari think tank europei sono muti su questo, tanto che c’è stato chi ha posto il problema della loro scarsa influenza nel dibattito europeo? Scenari, analisi di direttive, paper documentatissimi sui vari settori di policy, brilanti approfondimenti su questioni tecnico-giuridiche. Le persone ed i leader mai. A quando ad esempio un paper su Solana, su cosa ha fatto o non ha fatto in questi anni? Ancora e meglio, perché non un report sugli “zero tituli” di Barroso a fine legislatura, magari attraverso una comparazione con l’azione delle commissioni precedenti? Serve un dibattito sui leader europei del prossimo futuro, altrimenti l’Europa rischia di condannarsi all’irrilevanza politica. E non sarà un ennesimo trattato a salvarci..
Fonte: www.limesonline.it
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