La finanza ha cercato di creare la realtà. È arrivato il momento di rifletterla
Internazionale 794, 7 maggio 2009
Nell'ondata di dati economici pubblicati ogni settimana dal governo statunitense, il recente rapporto che analizzava la composizione del pil per settore è passato quasi inosservato.
Eppure conteneva un dato molto interessante: nel 2008, per la prima volta dopo sedici anni, il settore finanziario e quello assicurativo hanno subìto una contrazione. Dal 1980 a oggi la quota di economia composta da queste due industrie è quasi raddoppiata.
Adesso c'è un'inversione di tendenza. Per molti è una buona notizia: le dimensioni dell'industria bancaria erano diventate il simbolo della tanto criticata "finanziarizzazione" dell'economia americana degli ultimi trent'anni (e di quello che l'economista Simon Johnson ha definito il "golpe silenzioso" di Wall street).
Ma dopo aver riconosciuto che il settore bancario è diventato un mostro ipertrofico, per ridimensionarlo dobbiamo cercare di capire come ha fatto a crescere tanto in così poco tempo. E anche se le scelte politiche sbagliate e il sonnambulismo degli organismi di controllo c'entrano sicuramente, buona parte della crescita del settore è dovuta ai grandi cambiamenti avvenuti nell'economia in generale, e non viceversa.
II desiderio di tornare al noioso sistema bancario degli anni cinquanta è comprensibile. Ma l'unico modo per farlo sarebbe resuscitare anche l'economia di quegli anni. Il sistema bancario era noioso perché l'economia era noiosa. Il compito più importante del settore finanziario è far arrivare il denaro degli investitori alle imprese che hanno bisogno di capitale e sono considerate un buon investimento. Nell'immediato dopoguerra, non era un servizio molto richiesto.
Anche se era forte, l'economia era dominata da colossi industriali senza molti concorrenti e in grado di finanziarsi con i profitti. Le imprese erano poche e il settore finanziario non aveva molto da fare.
I motivi del cambiamento sono stati essenzialmente due. Innanzitutto, negli anni settanta i colossi industriali hanno cominciato a vacillare e l'economia statunitense è entrata in crisi. In secondo luogo, il mondo è stato rivoluzionato dagli sviluppi della tecnologia dell'informazione e dalla nascita di nuove imprese come quelle della tv via cavo, della telefonia mobile e della biotecnologia.
L'economia è diventata molto più competitiva, mentre il rendimento delle aziende era sempre più fluttuante. Negli anni ottanta le società entravano e uscivano dalla classifica delle 500 maggiori aziende americane pubblicata dalla rivista Fortune, al doppio della velocità degli anni cinquanta e sessanta. C'era un enorme numero di nuove aziende affamate di capitale per poter crescere.
Ed era Wall street che le aiutava a trovarlo. Così sono cominciati gli investimenti di capitale a rischio, e il mercato delle quotazioni in borsa è decollato. La mancanza di regolamentazione è stata senza dubbio un fattore importante ma, secondo l'economista della New York university Thomas Philippon, la maggior parte dell'espansione del settore finanziario in quel periodo era dovuta al bisogno di nuovi capitali delle aziende.
Philippon ha dimostrato che la molla dei grandi boom dell'industria bancaria della storia statunitense – a partire dalla seconda rivoluzione industriale – è sempre stata il bisogno di finanziare nuove imprese. E ogni volta il settore finanziario si è ritrovato a essere molto più grande e forte di prima. Chi cambiava, però, non erano i banchieri, bensì il mondo.
Il boom degli ultimi dieci anni è una storia diversa. La bolla immobiliare è stata un fenomeno unico. Tutte le ondate precedenti erano nate da un cambiamento profondo dell'economia reale. La bolla immobiliare, invece, non è stata accompagnata da nessun cambiamento significativo dell'economia reale che spiegasse perché la domanda e il valore delle case erano così aumentati.
L'unica novità era che le banche avevano cominciato a concedere prestiti facili a chi voleva comprarne una, immaginando profitti inesistenti. E mentre i boom precedenti avevano reso l'economia stabilmente più produttiva e più innovativa, la stessa cosa non si può dire del boom degli ultimi dieci anni. Il settore bancario è cresciuto per dimensioni e profitti, ma in cambio abbiamo avuto solo migliaia di case vuote.
Non c'è dubbio che il settore finanziario dev'essere ridimensionato. Secondo Philippon, data l'attuale necessità di capitali delle imprese, un settore finanziario normale non dovrebbe superare le dimensioni del 1996. Ma oltre a ridimensionare la finanza, ci tocca un compito ancora più arduo: evitare che si ripetano bolle creditizie come quella dalla quale siamo appena usciti.
Per questo bisognerà limitare la possibilità che le banche abbiano un rapporto capitale-prestiti così sbilanciato, che aumenta i rischi senza produrre nessun valore sociale aggiunto.
Ma il cambiamento più importante potrebbe essere quello più difficile da introdurre: Wall street deve riconoscere che il suo vero compito è seguire l'economia reale e non guidarla. All'epoca della bolla immobiliare, la finanza ha cercato di creare la realtà. È arrivato il momento di rifletterla.
Autore: James Surowiecki
Fonte: www.internazionale.it
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lunedì 11 maggio 2009
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