Tra voglia di dialogo e prove di scontro
Dopo la vittoria di Obama i due giganti si guardano, si confrontano, indecisi se collaborare o scontrarsi. L'allargamento della Nato, la politica energetica e la crisi economica.
“La nuova amministrazione USA farà bene a non dare per scontato neppure l’obiettivo di ‘cordiali relazioni’ nei rapporti con la Russia”. Questo il messaggio, neanche tanto velato, che il presidente russo Medvedev e il primo ministro Putin hanno fatto pervenire a Washington subito dopo le elezioni americane del 4 novembre, mentre quasi tutto il mondo salutava con slancio l’elezione di Barack Obama a 44° presidente degli Stati Uniti.
Molti i motivi di questo atteggiamento.
La prosecuzione dello “spot pubblicitario” ad uso dell’opinione pubblica interna, utile a nutrire, sotto i colpi di una rampante crisi economica che ne ha nuovamente messo a nudo gli irrisolti problemi strutturali, l’illusione di una Russia forte. L’esperienza storica, la stessa che ha abituato il Cremlino a sviluppare una sorta di allergia agli ingredienti “idealistici” di cui è normalmente condita la politica estera delle amministrazioni democratiche rispetto a quella, più pragmatica, di ogni amministrazione repubblicana.
Ma soprattutto lo stato dei rapporti attuali sui quali incidono più profondamente tutti quegli avvenimenti che hanno ridotto in frantumi la speranza che la “partnership anti terroristica”, avviata alla fine del 2001, potesse favorire una collaborazione a più ampio spettro tra i due ex-avversari. Una spirale di azioni e dichiarazioni che - dall’allargamento della NATO ad Est al piano di difesa missilistica (in senso anti-iraniano, secondo le spiegazioni di Washington) dislocato a ridosso delle frontiere russe e alla guerra georgiana dell’agosto scorso - ha fatto parlare di ritorno ad un clima “da guerra fredda” nelle relazioni tra i due paesi.
Per quanto la necessità di dialogare con la Russia resti alta nella lista delle priorità della foreign policy di Washington, almeno a giudicare dalle dichiarazioni di molti tra gli esponenti politici che avranno voce in capitolo nella prossima amministrazione, pochi sono i dubbi sul fatto che l'America continui a rappresentare lo sfondo di riferimento di ogni considerazione fatta dai russi in tema di politica estera, ben più di quanto Mosca lo sia per gli americani. La nuova strategia di sicurezza nazionale che sta prendendo forma e che si riflette nella composizione della squadra di governo di Obama ed il fatto che in Russia la politica estera sia sempre di più il perno attorno al quale ruota la sopravvivenza del regime “a sovranita’ democratica” di Putin, saranno le due forze di fondo, di per sè in buona parte confliggenti, che potrebbero rendere ancora più problematico il dialogo.
Gli USA hanno bisogno della Russia non meno che della Cina per limitare l’erosione della loro leadership mondiale, a partire dal cambiamento climatico e dalle sfide energetica ed alimentare.
C’è chi consiglia pertanto proprio agli Stati Uniti di riaprire il dialogo; da un lato mettendo in conto che poco si potrà fare per smorzare l'ambizione di Mosca ad una propria sfera di influenza "nell'estero vicino", e dall'altro rinviando, in questa fase, ogni ulteriore accelerazione dell’accesso di Georgia ed Ucraina nella Nato (decisione posta di fatto in un limbo dalla riunione dei ministri degli esteri dell'Alleanza svoltasi recentemente a Bruxelles anche in attesa della nuova amministrazione USA) e del dispiegamento del “piano di difesa missilistica” in Europa.
Su questi due punti la futura amministrazione appare avere messo già a fuoco la necessità di un approccio più ragionato rispetto a quello seguito da Bush. Difficile, del resto, far entrare in un’alleanza come la NATO paesi con rilevanti problemi di frontiera ancora irrisolti, così come è da rivedere la significatività e l’efficacia del sistema di difesa missilistica progettato dall'amministrazione uscente.
Anche i rapporti energetici tra Europa e Russia ostacolano la realizzazione di un fronte occidentale compatto nei confronti di Mosca.
La caduta dei prezzi delle materie prime, unendosi alla crisi economica, renderà la Russia più instabile e più propensa a fare leva su una politica estera crescentemente “assertiva”, non fosse altro che per tenere alto il consenso interno attorno ad un disegno secondo il quale Putin aveva promesso, entro il 2020, l’arrivo della Russia al più volte mancato “radioso avvenire”.
La crisi economica globale sembra aver spuntato, inoltre, le possibili minacce del tentativo russo di intervento in America Latina. Una mossa da alcuni segnalata come una risposta di Mosca alle pressioni alle frontiere praticate dagli occidentali. In un ambito geopolitico che per Washington è sempre più difficile considerare semplicemente “il cortile di casa” e dove le preoccupazioni sono semmai rivolte al ben più reale e preoccupante intervento della Cina, entrata a far parte un mese fa della Banca Inter-Americana di Sviluppo.
Autore: Giovanni Mafodda
Fonte: www.limesonline.it
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venerdì 26 dicembre 2008
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