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venerdì 16 ottobre 2009

L'Unione Europea dopo il referendum irlandese

Wirepullers: l'Europa è tenuta in ostaggio da un ceco. Si chiama Vaclav Klaus, è il presidente della Repubblica Ceca e se entro maggio 2010 non firmerà la ratifica del Trattato di Lisbona l'Europa resterà senza costituzione ancora a lungo. Il 2 ottobre il Trattato è riuscito a superare anche l'ostacolo irlandese e a portarsi a "un solo uomo dalla meta". Ma i limiti dell'Unione Europea restano evidenti e anche se la firma dovesse arrivare, la paura di molti di venir derubati del potere di decidere in casa propria, cavallo di battaglia degli euroscettici, non svanirebbe da un giorno all'altro. E con essa la debolezza dell'Unione, ormai sempre più vicina a un grigiore e a un'irrilevanza politica evidenti. In Europa non c'è tanta voglia d'Europa e nel resto del mondo ancora meno. Se avranno la meglio gli euroscettici corriamo il rischio che nel Vecchio Continente ognuno finisca per coltivare il proprio giardino, mentre fuori gli altri decidono cosa fare del mondo. (1)

Il sì dell'Irlanda al nuovo Trattato di Lisbona non risolve tutti i problemi. Gli euroscettici possono in alcuni casi diventare forze di governo e dunque i paesi che credono nell'Unione devono procedere nelle scelte concrete con gli strumenti della cooperazione rafforzata. Ci sono poi i seri pericoli di disintegrazione posti dalla crisi economica e finanziaria. E la necessità di parlare con una voce unica sulle grandi questioni mondiali. Serve un esercizio della funzione d'iniziativa, politica e legislativa, che il Trattato assegna in esclusiva al presidente della Commissione.

Ancora una volta l’Unione Europea ha scampato il disastro e, grazie al voto favorevole di poco più di un milione di elettori irlandesi – certo, il 67 per cento dei votanti – può riprendere a guardare avanti, sperabilmente a progettare il futuro sulla base del nuovo Trattato di Lisbona.Resta ancora da risolvere un problema, quello della firma del Trattato da parte dell’irriducibile euroscettico Vaclav Klaus, presidente della Repubblica ceca, il quale, probabilmente in contatto con i conservatori inglesi, vorrebbe guadagnare tempo fino al probabile cambio della guardia a Downing Street l’anno prossimo: così, poiché il parlamento ceco ha già ratificato, ha fatto presentare da suoi fidi senatori un nuovo ricorso di incostituzionalità contro il Trattato alla Corte costituzionale del suo paese, che già lo aveva giudicato compatibile con l’ordinamento nazionale. Spera che un nuovo referendum, chiamato in tutta fretta dal governo Cameron, affondi definitivamente il Trattato di Lisbona.

Eurogruppo per cooperazioni rafforzate
Il progetto pare destinato a fallire, ma la sua protervia sollecita una prima riflessione sul futuro politico dell’Unione: abbiamo in casa componenti politiche irriducibilmente ostili all’Unione, che in alcuni casi possono diventare maggioranza politica di governo, e che già hanno trasformato in un calvario l’accordo sui nuovi assetti istituzionali, che pure appaiono appena adeguati alle sfide che l’Unione dovrà affrontare. Credo gli altri paesi debbano preparasi a procedere nelle scelte concrete utilizzando gli strumenti della cooperazione rafforzata in modo quasi normale: ad esempio, nel coordinamento delle politiche economiche contro la crisi, nelle nuove regole per la finanza, o ancora più semplicemente nell’unificazione delle rappresentanze diplomatiche nelle aree terze del mondo e nelle istituzioni internazionali. Se qualcuno non vuole partecipare, non è un dramma, ma gli altri devono avanzare, pena la perdita della legittimazione, oltre che del sostegno politico, davanti alle opinioni pubbliche che aspettano dall’Unione soluzioni ai gravi problemi che incombono.L’Eurogruppo appare come un candidato naturale per tali avanzamenti, dato il grado più elevato d’integrazione dei suoi membri, grazie all’euro, e il carattere informale dei suoi meccanismi di funzionamento. In quanto “titolare” dell’euro, esso potrebbe porsi come interlocutore diretto delle altre maggiori aree valutarie nel disegno della nuova governance economica mondiale, già scontando che il Regno Unito di Cameron tenderà ad andare per conto suo e che i paesi esclusi dall’euro tenderanno a esprimere posizioni divergenti.

Conseguenze della crisi
Una seconda riflessione riguarda i seri pericoli di “disintegrazione” posti dalla crisi economica e finanziaria. L’area dell’euro era già prima della crisi un’area a crescita rallentata, non essendo riuscita a ridurre le rigidità che la frenano e a stimolare la crescita dei redditi interni con le riforme sempre rimandate; ora non sa come recuperare la caduta, mentre i suoi governi vivacchiano tra annunci propagandistici rassicuranti e scelte rinviate. In queste condizioni, il mercato interno appare gravemente minacciato dagli aiuti di Stato all’industria automobilistica e alle banche; Il Patto di stabilità sembra nei fatti sospeso, dopo l’annuncio dell’intenzione francese di non rispettarlo almeno fino al 2012.Anche il coordinamento delle politiche economiche è molto ammaccato: mentre ovviamente occorre ancora espandere, la Germania ha adottato una riforma costituzionale che limita strettamente il disavanzo pubblico e le impone di iniziare a ritirare il debito pubblico, mentre impedisce un’azione comune a livello dell’Unione per il rilancio della domanda attraverso l’emissione di eurobond. Non c’è un’ombra di accordo sull’exit strategy, cioè i sentieri di ritorno a politiche monetarie e fiscali meno squilibrate, dopo la fine dell’emergenza. Senza una politica economica comune, è dubbio che possa reggere anche l’Unione monetaria, stretta tra le richieste di protezione delle industrie in crisi e dei disoccupati. Non basta più l’integrazione negativa: occorre accordarsi su grandi progetti d’investimento in reti e ricerca e gestirli a livello europeo. Occorre avanzare finalmente nella creazione di un mercato europeo dell’energia, che oggi è impedito dai grandi monopolisti nazionali, lasciandoci alla mercé della Russia di Putin.Solo una crescita più sostenuta dell’occupazione e dei redditi interni può consentire di far coesistere, e gradualmente riassorbire, gli squilibri esistenti di competitività all’interno dell’Unione. La strada maestra è l’apertura alla concorrenza del settore dei servizi, ancora largamente protetto nei maggiori paesi dell’Unione. Ma ciò richiede a sua volta un grado molto maggiore di mobilità e flessibilità del lavoro, anche tra paesi, impossibile senza radicali riforme dei meccanismi di sostegno alla disoccupazione, da coordinare a livello europeo, e massicci investimenti in capitale umano. Anche se oggi parlare di flessibilità appare a molti una bestemmia.

Parlare con una voce unica
Infine, non v’è dubbio che l’Unione dovrà usare glistrumenti istituzionali resi disponibili dal nuovo Trattato per portare nel mondo una voce unica sulle grandi questioni della politica estera, dello sviluppo, dei commerci e della finanza. Il presidente stabile del Consiglio europeo e la nuova figura di alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, insieme anche vice-presidente della Commissione, offrono il destro per farlo, ma non andremo molto lontano se non si può arrestare la cacofonia di voci degli staterelli che compongono l’Unione, in cerca di visibilità sulla scena mondiale. Barroso è stato confermato alla presidenza della Commissione, dunque forse potrà osare nell’esercizio di quella funzione d’iniziativa, politica e legislativa, che il Trattato gli assegna in esclusiva.

Autore: Stefano Micossi

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