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giovedì 20 agosto 2009

Se l’Unione Africana si oppone all’arresto del dittatore del Sudan

Wirepullers: il 4 marzo 2009 è una data a suo modo storica. La corte penale internazionale spicca infatti un mandato d'arresto per un capo di stato in carica. Si tratta di Omar-al-Bashir, presidente del Sudan. L'accusa: crimini di guerra e contro l'umanità, per quanto sta succedendo da anni in Darfur, regione occidentale del Sudan. Ma arrestare e processare al-Bashir non è così facile. Intorno alla sua figura infatti s'impernia uno scontro che vede confrontarsi silenziosamente Cina, Russia, Unione Africana e Lega Araba, contrarie all'arresto, da un lato e ONU e Unione Europea dall'altro. Questo scontro rifletterebbe soprattutto divisioni economiche e geopolitiche, più che questioni di giustizia. E qualcuno parla di neocolonialismo. (1)


Nel corso di un vertice svoltosi a Sirte (in Libia) all’inizio di luglio, l’Unione Africana (UA) ha dichiarato di non voler cooperare con la richiesta di arresto del Presidente del Sudan Al-Bashir, emessa dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) lo scorso marzo.


Le motivazioni e le reazioni in Sudan
La decisione è giunta al termine di un periodo in cui l’UA aveva più volte chiesto il differimento dell’iniziativa contro Bashir, appellandosi all’art. 16 dello Statuto della Corte, che prevede la possibilità, su richiesta del Consiglio di Sicurezza Onu, di sospendere per un anno (rinnovabile) la procedura della Cpi. L’UA aveva espresso il timore che la richiesta di arresto potesse indebolire gli sforzi per il processo di pace in Darfur; per questo , secondo il presidente del Ghana John Atta Mills, la decisione dell’UA rappresenta “il meglio per l’Africa”: “Abbiamo bisogno di una soluzione durevole per il Darfur e il presidente del Sudan è una parte importante della soluzione. Con lui fuori, sarebbe molto difficile raggiungere una soluzione al conflitto nella regione. Per questo abbiamo richiesto il differimento della procedura della Corte”.


Diversi commentatori hanno sottolineato la “frustrazione” dei paesi africani per il rifiuto del Consiglio di Sicurezza ONU di sospendere la procedura. Tale frustrazione ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione assunta dall’Unione Africana. Il presidente della Commissione dell’UA Jean Ping ha dichiarato che l’UA “sta dimostrando alla comunità internazionale che, se si rifiuta di ascoltare il continente africano, se non vuole tenere conto delle proposte degli stati africani, questi sono disposti ad agire in maniera unilaterale”. La reazione delle autorità sudanesi è stata ovviamente di grande soddisfazione (consente fra l’altro a Bashir di recarsi negli altri paesi africani senza timore di essere arrestato); il portavoce del ministero degli esteri del paese Ali Al-Sadiq ha dichiarato che “la decisione dell’UA ci fa capire che non siamo soli e che la gente è con noi”. I movimenti di opposizione hanno invece criticato aspramente la decisione. Abdel Wahid, figura di riferimento del Sudan Liberation Army (Sla) ha parlato di “perdita di legittimità morale e legale da parte dell’UA” e il Justice and Equality Movement (Jem) ha reagito rifiutando di portare avanti il dialogo con il panel di esperti promosso dall’UA nel febbraio di quest’anno e presieduto dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki.


Le voci dissenzienti
Nonostante l’approvazione della risoluzione, nel vertice UA si sono registrate diverse manifestazioni di dissenso, soprattutto del Botswana e del Chad (a cui, nei giorni successivi, si è unita anche l’Uganda), che tuttavia sono state rapidamente messe a tacere. Nei mesi scorsi il Botswana e il Sud Africa avevano dichiarato che, nel caso in cui il leader sudanese Bashir si fosse trovato nel loro territorio, avrebbero eseguito la richiesta di arresto della Corte Penale Internazionale; per questo motivo Bashir non aveva partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente sudafricano Jacob Zuma.


Neanche le organizzazioni umanitarie hanno lesinato critiche alla decisione dell’UA. Erwin van der Borght, direttore della sezione africana di Amnesty International, ha sottolineato che la decisione “dimostra il disprezzo nei confronti di quanti in Darfur soffrono delle violazioni dei diritti umani e ridicolizza il ruolo dell’UA come organizzazione internazionale”. Il procuratore della Cpi, Ocampo da parte sua ha evidenziato che la decisione dell’UA non è stata una vittoria per il Sudan o per Bashir, in quanto “nessuno ha detto che è innocente” e che “ognuno dei 30 stati africani che hanno firmato il trattato di Roma istitutivo della Corte deve decidere da sé se arrestare il presidente sudanese”.


L’azione dell’UA nel Darfur
La decisione dell’UA giunge al termine di un periodo di intensa attività dell’organizzazione nei confronti del conflitto in Darfur, sia a livello militare che diplomatico. La missione militare dell’UA nella regione - African Unione Mission in Sudan (Amis) - costituisce il primo importante banco di prova per la nuova organizzazione africana (sorta nel 2002 sulle ceneri dell’Organizzazione dell’Unità africana iniziata nel 2004), la missione ha mostrato da subito diversi punti deboli: un mandato non adeguato rispetto alle esigenze reali del Darfur, la mancanza di risorse e la scarsa disponibilità del governo di Khartoum a cooperare. Per questo motivo, nel 2007, la missione è stata sostituita da una missione “ibrida” Onu/UA, l’African Union – United Nations Hybrid Operation in Darfur, la più ampia forza di peacekeeping mai dispiegata, con oltre 30.000 uomini tra militari, polizia e personale civile. Purtroppo anche questa missione è stata caratterizzata da forti difficoltà in seguito a ritardi nella dislocazione delle truppe, una preparazione non adeguata dei militari e l’insufficienza delle risorse logistiche e finanziarie.


Anche per quanto riguarda l’attività diplomatica il bilancio dell’UA presenta molte ombre. L’organizzazione ha coordinato i colloqui di pace del biennio 2004-2006 culminati nel Darfur Peace Agreement. L’accordo, firmato dal governo e dalla fazione Sla di Minni Minawi, è stato però duramente criticato non solo dagli altri movimenti di opposizione (che hanno ritenuto insufficienti le misure di carattere economico, politico e amministrativo), ma anche da molti commentatori internazionali.


Ragioni della decisione e possibili sviluppi
La decisione dell’UA assume una particolare rilevanza in quanto sottoscritta dai leader di oltre 30 paesi africani firmatari dello statuto della Corte Penale Internazionale. In precedenza altre organizzazioni (Lega Araba, Movimenti dei non-allineati, Organizzazione della conferenza islamica e Consiglio per la Cooperazione nel Golfo) avevano preso posizione contro la richiesta di arresto di Bashir. Nonostante anche l’UA avesse espresso forti perplessità sulla sentenza, non aveva però adottato decisioni chiaramente contrarie alla richiesta della Corte.


A indurre l’UA ad adottare la risoluzione sono state innanzitutto le pressioni di Gheddafi (denunciate anche da alcune organizzazioni umanitarie, es. Human Rights Watch). La posizione di Gheddafi sulla Corte e sulla vicenda Bashir, del resto, è nota: per il leader libico la Corte rappresenta una “nuova forma di terrorismo mondiale”. Nei giorni precedenti la richiesta di arresto Gheddafi aveva minacciato di far ritirare tutti gli stati africani firmatari dallo Statuto della Corte, mostrando poi particolare solerzia sia nell’esprimere solidarietà al presidente sudanese che nel riceverlo in visita dopo la richiesta di arresto. Ma, a parte Gheddafi, c’è un altro motivo, dietro alla decisione dell’AU: molti leader africani sono poi preoccupati che l’iniziativa contro Bashir possa essere solo la prima di una serie di iniziative simili contro di loro.


La decisione dell’UA infligge un duro colpo al ruolo di mediazione svolto fino ad oggi dall’organizzazione in Sudan. D’ora in poi sarà molto difficile per l’UA proporsi come terzo neutrale nei colloqui di pace tra il governo sudanese e le forze di opposizione. La decisione è un pericoloso precedente, che potrebbe minare la credibilità della stessa Corte: sancendo una presunta “negoziabilità dei diritti umani”, essa mette in secondo piano le responsabilità di Bashir per le persecuzioni dei civili, che potrebbero continuare anche grazie al “clima” di impunità creatosi. La decisione, infine, colpisce la credibilità di iniziative “parallele”, come ad es. il panel di esperti presieduto da Mbeki che mira a trovare meccanismi giudiziari alternativi alla Cpi in grado di garantire la punizione dei responsabili delle violazioni dei diritti umani in Darfur. Per questo motivo Mbeki, nei giorni precedenti l’incontro di Sirte, ha tentato con ogni mezzo di evitare che l’UA compisse questa scelta.


Autore: Stefano Cera

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