
Alla vigilia della quinta edizione del festival internazionale "èStoria" che si terrà a Gorizia dal 22 al 24 maggio, uno sguardo al ruolo delle patrie nel mondo globalizzato di oggi.
Più il mondo diventa – o appare – globale, più riscopriamo le patrie. E il senso di appartenenza ai territori grandi o piccoli in cui ci sentiamo radicati. Di qui parte la quinta edizione del Festival internazionale “èStoria”, che da venerdì fino a domenica occuperà la città dell’ultimo Muro europeo (quello da poco abbattuto che separava ieri Italia e Jugoslavia, poi Italia e Slovenia) in un turbine di eventi pubblici animati da studiosi italiani e stranieri. Il titolo è ambizioso: “Patrie. Cittadinanza e appartenenze dalla polis greca al mondo globale”. Per capire come è cambiato, se è cambiato, il modo in cui noi sentiamo nostro uno spazio di memorie e istituzioni comuni, o presunte tali.
Qualche anno fa i guru della geoeconomia ci spiegavano che nel “mondo globale” i confini non hanno più senso. Che tutto è flusso, nulla è fisso. E che quindi lo Stato è condannato a sparire, realizzando l’utopia marxiana. Solo che invece di lasciare il posto al comunismo, lo Stato si sarebbe dissolto nel trionfo del capitalismo globale. E’ così oggi? Davvero la patria, con le sue istituzioni statuali, appartiene al passato, o è comunque condannata dalla storia? Non si direbbe.
I teorici della fine dello Stato trascuravano una costante antropologica: il bisogno umano di appartenza a una comunità e a un territorio. In italiano si ricorre spesso al termine “patria” per descrivere lo spazio nazionale e il sentimento di tale appartenenza. Nell’interpretazione nazionalistica, la patria è una ed esclusiva: vive non tra ma contro le altre patrie. Nella versione più evoluta, la determinazione di sé non esclude l’incontro con gli altri e con le loro patrie, ne è la precondizione: non ci sono altri se non ci siamo noi. E viceversa.
Altre culture declinano la “patria” in modo più specifico. Così in tedesco si distingue fra Heimat (terra natìa, o “matria”) e Vaterland (patria). Heimat e Vaterland non sempre coincidono con uno Stato (Staat). Il grande politico sudtirolese Silvius Magnago spiegava così il rapporto fra quei tre termini, visti da Bolzano. “La terra natìa è bella per chiunque sia capace di sentirla.Ma anche se non è bella, è entusiasmante quando ci si può impegnare per essa e si può lavorare per il gruppo etnico da cui si ha origine e verso il quale ci si sente responsabili. Dopo viene la patria e dopo ancora lo Stato”. Così Magnago parlava di “patria austriaca” (Vaterland), mentre il Sudtirolo era la sua Heimat e l’Italia il suo Staat. Tenere insieme queste tre appartenenze in un contesto multietnico è il miracolo finora riuscito nel Sudtirolo/Alto Adige. Altrove questa miscela può esplodere.
La tendenza alla conflittualità fra patrie e appartenenze più o meno incompatibili è resa nel termine “balcanizzazione”. Ossia la pulsione a ritagliare territori e quindi Stati sempre più piccoli a partire dalla necessità della loro “purezza etnica”. Insomma, il contrario della civiltà europea come viene oggi intesa (e propagandata). Paradigmatico il recente destino dell’ex Jugoslavia, in via di spezzettamento da ormai quasi due decenni. Fino a produrre degli pseudo-Stati come la Bosnia, di fatto divisa fra serbi, musulmani e croati, o il Kosovo, un protettorato delle mafie.
Basta squadernare davanti ai nostri occhi un atlante storico per osservare come nell’ultimo ventennio, quello appunto della “globalizzazione”, siano sorti decine di nuovi Stati fondati su “antiche” patrie, alcune totalmente inventate. Per legittimare le nuove entità schiere di studiosi, spesso al servizio di un principe, si sono messi all’opera per fondare presunti “diritti storici” su specifici territori di questo o quel gruppo etnico. Con effetti paradossali nell’Asia ex sovietica o nell’Europa centrale e orientale, dove agli imperi dissoltisi dal 1918 in poi sono subentrati Stati nazionali inventati ex novo, nessuno dei quali ha saputo resistere alla tentazione di costruirsi una propria legittimazione storica contrapposta al recente destino imperiale.
I veri sconfitti, in questa partita, sono i cittadini. Se la base di uno Stato è la patria etnica, per gli altri, i non-etnici, non resta che il rango di minoranza protetta se non di nemico in quanto quinta colonna di uno Stato straniero. E’ il caso dei russi di Estonia, degli arabi di Israele, dei polacchi di Bielorussia, oppure di ciò che resta dei pellerossa d’America o degli aborigeni d’Australia.
Coniugare patria, appartenenza e cittadinanza è operazione di alta chirurgia, mai definitiva, sempre precaria. Per chi vuole capirne di più, l’appuntamento è a Gorizia..
Autore: Lucio Caracciolo
Fonte: www.limesonline.it
1 commento:
definire Silvius Magnago come "grande politico sudtirolese" è quantomai un insulto alla società civile e democratica. Il politico in questione fu sostenitroe di atti terroristici dinamitardi in Alto Adige, perpetrati con cariche di tritolo e proiettili sparati da armi automatiche. Gli autori di tali orrendi gesti, dal Dott. Magnago sono considerati a tuttoggi "eroi"
Fra questi eroi di carta, ricordiamo il nucleo dei "bravi ragazzi" della valle Aurina, condannati nel luglio 71 dalla corte d'assise di Bologna, ed il "BAS", movimento di liberazione del Sudtirolo. Fino al 30 ottobre 1988, il bilancio ufficiale contabilizza 361 attentati, 21 morti e 57 feriti. Per la magistratura, 17 sentenze passate in giudicato: 157 condanne per 103 sudtirolesi, 40 austriaci e 14 tedeschi. Ricordiamo fra i morti, quelli dell'attentato di Cima Vallona, attirati con l'inganno nella baita omonima, i militi vengono fatti saltare con cariche di tritolo. Muoiono sul colpo il capitano dei carabinieri Francesco gentile, i parà Mauro di lecce e Olivo Dordi, l'alpino Armando Piva. Per rispettare l'onore di questi caduti, è semplicemente vergognoso definire "grande politico" colui che ne difende i carnefici.
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