America dove vai
Il giorno in cui Wall Street diventò socialista
Per evitare il crollo della Borsa e il congelamento del mercato del credito, che rischiavano di coinvolgere tutte le attività economiche, le autorità americane hanno rinunciato ai salvataggi in successione in favore di un progetto complessivo. Henry Paulson e Ben Bernanke, rispettivamente ministro dell'economia e presidente della Riserva federale, hanno proposto che la finanza pubblica - cioè il contribuente - riscatti i crediti bancari problematici fino ad un tetto di 700 miliardi di dollari. In piena campagna elettorale, il Congresso americano recalcitrante davanti ad un simile impegno finanziario, senza precedenti né contropartite, ha dovuto alla fine votarlo. Il pericolo di fare esplodere il deficit di bilancio e di assestare un nuovo colpo alla credibilità del dollaro era davanti a tutti. Un senatore non ha esitato a fustigare un «socialismo finanziario», considerato «non americano». Come accade spesso in simili circostanze, la burrasca finanziaria ha provocato una marea di buoni propositi di facciata sulla «moralizzazione» del capitalismo, l'urgenza di una «regolamentazione», la necessità di punire i «colpevoli». C'è chi si spinge ancora più in là: «Wall Street così come l'abbiamo conosciuta smetterà di esistere», annuncia già il... Wall Street Journal.
di FRÉDÉRIC LORDON *
Ci voleva l'ingenuità di un bimbo o anche il gusto del magico per prendere sul serio l'atteggiamento marziale delle autorità americane di fronte al fallimento della banca d'affari Lehman Brothers, che poi la storia si è incaricata di trasformare, in meno di due giorni, in un gesticolare disperato. Rifiutare di soccorrere la banca al collasso era una scommessa estremamente azzardata, anzi per dirla tutta insostenibile se doveva segnare una svolta strategica.È vero che in quello che accade oggi, c'è di che perdere la testa, e che la successione sempre più rapida di situazioni critiche ciascuna delle quali percepita in tempo reale come un «picco» della crisi, che viene poi immediatamente cancellato da un altro ancora più grave ed ancora più spettacolare sembra fatta apposta per precipitare in un abisso di sgomento e disorientamento chi deve dettare le regole.I week-end di emergenza si susseguono a un ritmo sempre più accelerato - 16 marzo, Bear Stearns; 12 luglio, Fannie Mae e Freddie Mac, primo atto; 6 settembre, gli stessi, secondo atto (leggere l'articolo di Ibrahim Warde a pagina 7); 13 settembre, Lehman Brothers e Merrill Lynch; 16 settembre (non è passata nemmeno una settimana), American International Group (Aig) - e il binomio Riserva federale - dipartimento del Tesoro, ogni volta convinto di essersi superato, scopre di non aver fatto niente e che bisogna ricominciare daccapo. Concediamogli di aver finora coordinato performance spettacolari, benché del tutto inadeguate a fermare in modo definitivo il crollo della finanza americana, e di averlo fatto ad un costo che non è semplicemente finanziario, in quanto né il presidente della Riserva federale, Ben Bernanke, né, meno ancora, Henry Paulson, ex presidente di Goldman Sachs - il fiore all'occhiello in assoluto del capitalismo assoluto, poi diventato segretario al Tesoro di un'amministrazione molto di destra - , avrebbero mai immaginato di vivere un giorno il doloroso paradosso di vedersi trattare da «socialisti», ogni volta che sono costretti a fornire un aiuto pubblico per salvare la finanza privata.È forse anche per farla finita con questa infamia che, sia l'uno che l'altro, fin dalla settimana dell'8 settembre - proprio quando, sfiniti dal salvataggio di Fannie e Freddie, avrebbero dovuto sullo slancio continuare con quello di Lehman! - , hanno fatto pollice verso e mostrato alla comunità finanziaria che la prossima tappa si sarebbe negoziata senza di loro.Frustrazioni personali a parte, la posizione del tandem «Fed-Treasury» (Riserva federale-dipartimento del Tesoro) è comprensibile. Le autorità si preoccupano, non a torto, del precedente rappresentato da ognuno dei loro interventi e del fatto che i banchieri privati potrebbero tranquillamente lasciarsi andare al fallimento, sapendo che all'ultimo momento «bisognerà» salvarli, come è già stato fatto per Bear Stearns e Fannie-Freddie. La morale si indigna di fronte a queste facilitazioni; difficilmente si potrebbe restare calmi davanti allo spettacolo di una finanza arrogante e sempre più ricca quando tutto va bene, e che poi si rifugia tra le braccia del potere pubblico, trattato in genere come un'aberrazione di tipo sovietico, per mendicare protezioni e favori.E però...! Come spesso succede, la morale è il mezzo più sicuro per fuorviare l'analisi - il che, comunque, non vuol dire che l'indignazione da cui deriva sia illegittima né, ancor meno, che non si debba capitalizzarla per accumulare le risorse politiche con cui colpire vigorosamente più tardi. Ma solo più tardi - senza aspettare troppo, tuttavia...- , cioè dopo aver analiticamente messo in chiaro di cosa si sta parlando.Ora, il problema è il rischio sistemico, cioè la possibilità, vista la densità degli interscambi tra banche, che il cedimento di un solo attore scateni, per successive ondate di choc, una cascata di fallimenti collaterali.A scanso di equivoci liberisti, precisiamo che nel «rischio sistemico» c'è l'espressione «sistemico», il che significa che è un problema di «sistema»... cioè dell'insieme delle istituzioni della finanza privata, potenzialmente coinvolgibili in un crollo globale. E, se è proprio necessario essere ancora più espliciti, il problema è che, una volta in rovina il «sistema» della finanza, dunque del credito, semplicemente non c'è più attività economica possibile. Zero assoluto.È sufficiente a fare intravedere l'enormità delle conseguenze?Per quanto penoso possa essere, non vi sono altre soluzioni di fronte alla constatazione che, una volta scoppiata una bolla finanziaria e armato il rischio sistemico, la banca centrale perde praticamente ogni margine di manovra: il ricatto costituito dal fatto che la finanza privata ha la capacità di trascinare nel suo tracollo tutto il resto dell'economia - il crollo della prima sarà necessariamente il crollo dell'altra - e di conseguenza di costringere l'intervento pubblico a soccorrerla, questo ricatto è, senza rimedio possibile, il nocciolo duro della crisi. È per questo che una ri-regolamentazione finanziaria significativa non può farsi che attorno all'obiettivo strategico di impedire che le bolle si riformino (1) - dopo, è troppo tardi.Si lotta contro il rischio sistemico solo sradicandolo; non appena si ricostituisce, e soprattutto non appena si attiva, la partita è persa.Pur senza manifestare una qualche seria volontà di sradicamento, la Riserva federale è però cosciente del livello a cui è strategicamente dominata, nel gioco che la oppone a una finanza privata in crisi, paradossalmente tanto più in posizione di forza quanto più è in difficoltà.Perciò cede, con la morte nel cuore, al susseguirsi di ingiunzioni da parte delle diverse banche che sprofondano e che le chiedono aiuto, salvo lasciare che si produca un'irreparabile catastrofe. Nel marzo 2008, Bear Stearns minaccia di non pagare 13.400 miliardi di dollari di transazioni sui derivati di credito (2)- è dieci volte più del Long Term Capital Management (Ltcm), che aveva rischiato di far crollare la finanza americana nel 1998. In luglio, Freddie e Fannie minacciano di non onorare il loro debito di 1.500 miliardi di dollari. Molte istituzioni finanziarie di grosso calibro hanno investito in questi titoli: fondi pensione - le pensioni - , fondi mutualistici - il risparmio ordinario del pubblico - , e anche varie banche centrali straniere! È fuori discussione, per la sopravvivenza del sistema finanziario americano nel suo insieme, che possa succedere una cosa del genere.Henry Paulson, segretario al Tesoro, non ha bisogno che gli si faccia uno schema: 25 miliardi di soldi pubblici sono mobilizzati il 12 luglio in linee di credito e in un inizio di ricapitalizzazione.Il 6 settembre, ci si rende conto che questa richiederà invece...200 miliardi! Perfetto, il contribuente ne metterà 200. «I didn't want to have to do that», confessa tuttavia Paulson, allarmato dal suo stesso mutarsi in socialista. «Non avrei mai voluto farlo» - ma comunque lo ha fatto. E, in verità, non aveva scelta. Però la Lehman è assai più piccola, e così la «Fed-Treasury» coglie l'occasione per «avere una scelta». E non vuole mancarla a nessun costo. Quella lì, la pagherà per tutti, e con la rabbia che si è dovuta ingoiare nel lasciarsi storcere le braccia le volte precedenti.Ma, pur offrendo un'eccellente possibilità di scaricare la bile, l'«op?portunità» Lehman richiedeva comunque di essere accuratamente valutata, prima di «lasciarla morire». Tenuto conto della sua dimensione e dell'esposizione delle altre banche sue controparti, un default Lehman costituisce o no un rischio sistemico?Certo, l'esposizione di Lehman sui derivati è infinitamente minore di quella di Bear Stearns - 29 miliardi di dollari contro 13.400(3)... Ma Lehman cancella comunque WorldCom dai tabulati, diventando così il più grosso fallimento della storia degli Stati uniti, con 613 miliardi di debiti. Tecnicamente non si tratta di un default equivalente, perché Lehman ha degli attivi e la procedura di liquidazione serve proprio a realizzarli.Ma quanto valgono esattamente questi attivi? È tutta qui la questione.Ci sono come minimo 85 miliardi di titoli avariati (di cui 50 miliardi di derivati di subprime), che il piano di rilancio, alla fine abortito, studiato durante il week-end dal 12 al 14 settembre, prevedeva di accantonare in una bad bank ad hoc. Ottantacinque miliardi, è il loro valore in quel momento, ma ci si chiede quanto ne resterà alla fine di una vendita in liquidazione - anche se, coscienti del rischio di vedere crollare i valori ancora più in basso, le autorità americane prevedono una liquidazione «ordinata», per capirsi: estesa su diversi mesi.Ciò nonostante: la riduzione di valore si annuncia severa; e non è solo un problema di Lehman. Perché la norma contabile del «mark-to-market», cioè della contabilizzazione degli attivi al valore di mercato istantaneo, costringerà tutte le altre istituzioni finanziarie a valutare a loro volta a prezzi di liquidazione «speciale Lehman» quei medesimi attivi di cui i loro bilanci sono ancora pieni - con, per di più, tutte le minusvalenze supplementari immaginabili.Se almeno il rischio di svalutazioni collaterali fosse il solo...Ma vi si aggiunge il rischio di contropartita, legato al fatto che le molteplici transazioni nelle quali Lehman era implicata resteranno non saldate. Oltre all'attivazione dei Cds (Credit Default Swap), quei prodotti derivati che offrono a chi li compra un'assicurazione contro la perdita di valore dei loro vari attivi obbligazionari.Se ci sono degli assicurati, vuol dire che ci sono, dall'altra parte, degli assicuratori. Ora il fallimento fa implacabilmente scattare l'operazione dei Cds emessi a protezione del debito Lehman, e gli indennizzi da versare si annunciano considerevoli. È molto spiacevole perché, in base all'esperienza, il meccanismo assicurativo dei Cds, impeccabile sulla carta, si è rivelato uno dei più ambigui; ed il mercato dei Cds è di una tale fragilità, da rischiare pesanti scosse ogni volta che viene sollecitato un po' brutalmente da un fallimento. Purtroppo, nel momento in cui si consuma quello di Lehman, si è appena usciti dalla nazionalizzazione di Fannie e Freddie, e molti temono che già da sola essa rappresenti un grave rischio per il mercato dei Cds... Ma è proprio su questo insieme di minacce che contava la «Fed-Treasury» per liberarsi dal salvataggio di Lehman e «convincere» i banchieri della piazza a farsene carico, in nome del loro stesso interesse.Non c'è stato niente da fare, nessun piano privato è uscito da quel frenetico week-end. Il fatto è che Wall Street è un'astrazione, che copre una vasta gamma di interessi particolari, talvolta divergenti.Il piano di rilancio, il cui fallimento ha portato Lehman al deposito di bilancio, prevedeva il riacquisto della «banca buona» da parte di Barclays e Bank of America (alla fine questa si indirizzerà verso Merrill Lynch) e l'accantonamento della «cattiva» mediante un finanziamento collettivo della piazza.Gigantesca partita di poker truccato Ma la «piazza», vale a dire chi, non avendo i mezzi per ricomprare le parti buone, si vedeva tuttavia sollecitato a riassorbire le minusvalenze di quelle cattive, ha avuto difficoltà ad accettare di impegnare i propri utili per permettere a due fortunati di andarsene con i gioielli della Corona, lasciando ad altri di riparare il castello in rovina.In verità, tutto il week-end dal 12 al 14 settembre alla fine si è rivelato niente altro che una gigantesca partita di poker truccato: tra la «Fed-Treasury», che ostentava la sua volontà di non intervenire, Wall Street, che inizialmente l'ha interpretata, a torto, come una strategia della tensione per aumentare il coinvolgimento delle banche private, il conflitto delle suddette banche private, divise tra chi riacquista per opportunismo e chi è costretto a finanziare, questi ultimi recalcitranti a fare un favore ai primi, ma consapevoli che per i propri interessi non era indifferente la sopravvivenza di Lehman; in pratica, si trovavano riunite tutte le condizioni per rendere improbabile il coordinamento del salvataggio.La «Fed-Treasury» dunque non mentiva. Ha lasciato fare. Non è più socialista. Benché - anche se in quel momento non lo sapeva ancora - per soli due giorni! Ma ha così tanta voglia di crederci. Da quasi una settimana, è energicamente incoraggiata da tutti i suoi ammiratori, un po' turbati dai sorprendenti percorsi che è stata costretta a prendere fino a quel momento. L'editorialista del Financial Times commenta con soddisfazione: «È tempo che le autorità si ritirino (...) Quanto fatto finora dovrebbe essere sufficiente(4. Ma non è il «Ft» che decide se «quanto fatto è sufficiente» o no, è la situazione! Ora, non solo la situazione Lehman non ha ancora rivelato i suoi reali rischi, ma la scommessa della Fed è lontana dall'essere vinta, nel momento in cui crede di ripudiare il suo socialismo, perché, dietro, maturano altre situazioni, che già minacciano di rendere la sua uscita di scena simile agli addii dei Compagnons de la chanson: reversibile e a ripetizione.Tra la prima uscita di scena e quella del rientro non passano quarantotto ore - e che festa! Aig può essere considerato un caso esemplare.Vi si concentrano e danno spettacolo tutte le aberrazioni della finanza contemporanea. Poiché il semplice mestiere d'assicuratore è ormai troppo scialbo, Aig si è data una filiale «prodotti finanziari» e si è lanciata a corpo morto nel mercato assicurativo uno po' speciale dei Cds. Ed ecco Aig, in pieno periodo di dissesto finanziario, impegnata per 441 miliardi di dollari di titoli da garantire, di cui 57,8 miliardi legati ai subprime (5).Inutile dirlo, le sue perdite sono colossali: 18 miliardi di dollari per i tre trimestri passati, e quello in corso si annuncia brillante poiché, tra attivazione dei Cds e svalutazioni collaterali, il fallimento di Lehman potrebbe fare salire la perdita accumulata di Aig a 30 miliardi di dollari - nei quali si trovano anche 600 milioni legati alla svalutazione completa delle azioni Fannie-Freddie a seguito della nazionalizzazione.Le acrobazie dei due compari In queste condizioni, le agenzie di rating, obnubilate dalla necessità di rifarsi una verginità per fare dimenticare i tanti errori passati, non esitano ad abbassare severamente la valutazione di Aig, con il risultato di obbligarla a soddisfare immediatamente le provvigioni dette «richiami di margine», a compensazione del deterioramento della sua qualità di assicuratore nei contratti (Cds) in cui è implicata.Ma come può Aig sborsare immediatamente da 10 a 13 miliardi di dollari di richiami di margine, quando sta già colando a picco?Per una giornata, la «Fed-Treasury», ancora nell'ebbrezza della sua recentissima «desocializzazione», ma comunque un po' scossa dalla portata dei danni che si annunciano, immagina di organizzare un soccorso privato per Aig, nel quale Goldman Sachs e JPMorgan sarebbero alla testa di un credito sindacalizzato di 75 miliardi di dollari.Sembra non ci si ricordi che, solo alla vigilia, le dieci principali banche della piazza sono già state pregate di costituire un fondo di 70 miliardi di dollari per sostenere la liquidazione «ordinata» di Lehman.... L'impossibilità del soccorso privato era prevedibile, la necessità dell'intervento pubblico, inevitabile. Nondimeno, stupisce la sua portata. In cambio di un prestito-relé di 85 miliardi di dollari della banca centrale, lo stato acquista il 79,9 % del capitale di Aig.Nella sua brevità, il comunicato della Riserva federale del 16 settembre resta tuttavia stupefacente. Esiste un precedente al fatto straordinario che la Fed presti denaro a una non-banca? Da qui si misura la portata delle concessioni che la crisi le ha strappato. In marzo, aveva deciso, per la prima volta dal 1929, di ammettere le banche d'investimento al rifinanziamento (al quale avevano diritto fino ad allora solo le banche di deposito); ora ecco allo sportello un'impresa di assicurazione...Ma il seguito è ancora più incredibile. Perché, da una parte, la Riserva federale ed il Tesoro sembrano agire qui in un'unità organica prossima alla fusione pura e semplice. D'altra parte, la partecipazione federale del 79,9% in Aig sembra essere la «contropartita» del prestito della Fed. Ma da quando, un prestito è concesso in cambio di una parte di capitale? Il prestito è destinato ad essere rimborsato - è garantito da tutti gli attivi di Aig ed il suo tasso penalizzante è stato fissato proprio per incitare ad un rapido rimborso. Una volta estinto il credito, lo stato federale rimarrà tuttavia azionista al 79,9%. Cioè si è concesso una presa di controllo senza spendere una lira, per il momento: un esproprio! Per essere una ricaduta di socialismo, è una di quelle vere, e coi fiocchi! Il New York Times riporta che Paulson e Bernanke, apparsi la sera del 16 settembre per annunciare il loro piano, hanno l'«aria scura».E si capisce: in confronto a loro, il presidente venezuelano Hugo Chávez è un fantoccio liberista venduto al grande capitale: lui paga quando nazionalizza! Ma le acrobazie ultrasocialiste dei nostri due compari sono appena cominciate. Perché siamo ormai ben oltre le tensioni di liquidità - nei cui confronti la Riserva federale è piuttosto ben attrezzata.È una crisi di solvibilità generalizzata, quella che si è impadronita del settore finanziario, ora che le perdite esorbitanti hanno intaccato in profondità le basi di capitali puliti. Un'imperativa frenesia di ricapitalizzazione si è annunciata fin da marzo, e, da Bear Stearns a Lehman, passando da Fannie-Freddie, tutti i momenti critici hanno avuto come origine un dubbio sulla capacità delle banche interessate di raccogliere capitali (6).Tuttavia, perché ci siano ricapitalizzazioni, bisogna che ci siano dei «ricapitalizzatori»! Ma non sono in molti ormai ad avere i mezzi per questo genere di sforzo: le banche consorelle lottano a loro volta per conservare il poco di capitale rimasto; i fondi sovrani (7), sui quali si è fatto molto conto, un po' troppo forse, hanno meditato sulle ultime delusioni: la loro sensazionale entrata in scena in marzo riposava sull'ipotesi che i prezzi degli attivi immobiliari e delle azioni avessero toccato il fondo - si sa quanto è successo poi, e le minusvalenze che ne sono risultate li hanno ormai convinti a pensarci due volte. Rimane... lo stato, il solo che possa fare il «lavoro», quando più nessuno vuole e può farlo.Per cui «Karl» Bernanke e «Vladimir Ilich» Paulson non hanno finito di soffrire. Il berretto con la stella rossa sta loro come le bretelle a un maiale, ma loro, almeno, hanno capito che devono tenerselo infilato in testa per tutto il tempo necessario, al contrario dei pazzi furiosi liberisti che reclamano il «lasciate che falliscano» e la morale della purga. C'è una sola lettura possibile per questo imperativo dell'abbigliamento, e un succulento paradosso vuole che un ex capo di Goldman Sachs debba farla sua: la finanza liberalizzata è strutturalmente di un'instabilità esplosiva; non solo è certa di scatenare catastrofi a ripetizione, ma è incapace di fronteggiarle con i suoi mezzi - ah! Le famose «soluzioni di mercato» alle quali si richiamava il comunicato europeo del 29 gennaio (leggere il riquadro)! Solo lo stato, con un gesto di pura sovranità, totalmente al di fuori del diritto comune, che si permetta l'impensabile - come nazionalizzare a vista pagando solo più tardi, captare unilateralmente tutti i dividendi - compresi quelli delle azioni che non detiene (!) - , può mettere un termine ai rendimenti crescenti di crollo che alimentano i meccanismi del divino mercato. Perciò: o il berretto o l'Apocalisse.E di preferenza il berretto, perché ecco l'alba radiosa che si annuncia sotto i nostri occhi: il convoglio dei subprime non è ancora completamente passato che già si palesa quello degli Alt-A mortgages. Intermedi tra i prime (standard) e i subprime, i crediti Alt-A fingono di aver chiesto una qualche informazione sulla situazione dei mutuatari, ma tollerano che si sia risposto in modo incompleto, o con alcuni «errori»: secondo uno studio di Mortgage Asset Research Institute, la quasi totalità dei dossier Alt-A (messi in piedi dagli intermediari per le banche) esagera i redditi dei mutuatari di almeno il 5%...e più della metà li sopravvaluta di più del 50%! Nella categoria Alt-A si distinguono i crediti detti opzione-Arm (Option Adjustable Rate Mortgages), che hanno la caratteristica di offrire al mutuatario diverse possibilità in materia di inizio dei pagamenti. Una di queste, particolarmente allettante, propone per i primi anni non solo di non cominciare a rimborsare il capitale, ma anche di non pagare la totalità dell'interesse - si arriva ad iniziare con tassi provvisori dell'1%, ai quali è difficile non cedere.Evidentemente, tutte queste facilitazioni danno luogo a una proroga per gli anni successivi, e il reset (il riaggiustamento del tasso) non può che essere più doloroso. Il mutuatario medio in opzione-Arm vede i suoi pagamenti aumentare di colpo del 63%. L'agenzia finanziaria Bloomberg valuta al 16% i ritardi di pagamento di più di due mesi sugli Alt-A emessi dal gennaio 2006. Queste inadempienze devono accelerare l'anno prossimo e durare fino al 2011, tenuto conto della durata del reset, che è da tre a cinque anni. Ancora una piccola cosa: c'erano 855 miliardi di dollari di subprime in giro, ce ne sono 1.000 miliardi di Alt-A...Fannie ne possiede o ne garantisce per 340 miliardi. Wachovia porta 122 miliardi di opzione-Arm. Countrywide, salvata dal fallimento da Bank of America (il salvatore di Merrill Lynch), 27 miliardi.WaMu (Washington Mutual), 53 miliardi, di cui il 13% vanno al reset l'anno prossimo; guarda un po'!, WaMu ha visto la sua valutazione Standard & Poor's abbassata a livello di junk bond - il più basso.(8) Venerati dogmi, nella pattumiera Wamu è una cassa di risparmio, il risparmio del pubblico. In tutta fretta e a prezzo stracciato, è appena stata venduta a JP Morgan.Da altre parti, alcuni money market funds (delle sicav monetarie), fino ad oggi considerati liquidi e sicuri come un conto corrente, non sono forse stati sommersi da domande di riscatto, dopo che i clienti hanno visto i loro beni dissolversi, a causa della completa perdita di valore di titoli Lehman, nei quali queste sicav si erano astutamente impegnate? L'assalto dei risparmiatori: ecco cosa renderebbe il quadro davvero completo...Senza neanche proseguire in questo scenario-catastrofe, ma a fortiori se lo si prende in considerazione, le necessità di ricapitalizzazione bancaria sono così importanti, così generalizzate, e sopraggiungono in un tale contesto di rifiuto a impegnarsi da parte di coloro che sono ancora a galla, che lo stato, non più solo prestatore, ma azionista e «ricapitalizzatore» in ultima istanza, fa fronte ad un impegno finanziario sempre meno sostenibile con i mezzi standard. Anche se, come è probabile, lo stato federale finirà tra breve col pagare i warrant (9), poi le azioni che gli conferiscono la proprietà di Aig; dopo i 200 miliardi di dollari per un'operazione simile per Fannie e Freddie, non potrà rinnovare troppo spesso queste elargizioni, perché i suoi mezzi sono limitati.Standard & Poor's stima in dieci punti di prodotto interno lordo (Pil) quello che potrebbe costargli complessivamente! Che ciò avvenga sotto forma di ricapitalizzazioni generalizzate o attraverso una gigantesca struttura di accantonamento che alleggerisca la finanza privata dei suoi attivi avariati, il problema è sempre lo stesso.Questi dieci punti di Pil saranno tirati fuori dalle tasche del contribuente americano - silurando quanto rimane di crescita? O, al contrario, li si lascerà gonfiare il deficit e il debito pubblico - col rischio di rendere ben presto infrequentabili dollaro e titoli del Tesoro, trasformando la crisi della finanza privata in crisi delle finanze pubbliche, addizionata di crisi monetaria?Ci sono solo pessime soluzioni, in ogni caso, se ci si attiene ai canoni usuali dell'ortodossia. È per questo che i nostri amici col berretto andranno fin dove sarà necessario andare per fare quello che deve essere fatto; è sempre per questo che i dogmi, stupidamente venerati da tanti convertiti, finiranno presto nelle pattumiere.Ricapitalizzazioni con emissioni monetarie, sequestri puri e semplici, controllo dei cambi, se le cose andassero male, non avremmo ancora visto niente. La storia procede per vie bizzarre. Apriamo bene gli occhi, stiamo entrando in territorio sconosciuto.
note:
* Economista, autore di Jusqu'à quand? L'éternel retour de la crise financière, Raisons d'agir, Parigi, in stampa a novembre 2008.
(1)È il principio numero uno del testo «quatre principes et neuf propositions pour en finir avec les crises financières», La pompe à phynance, http:// blog.mondediplo.net
(2) Non si tratta di un'esposizione netta perché gli impegni a comprare/pagare compensano degli impegni a vendere/ricevere.
(3)Office of the Comptroller of the Currency, New York, 30 settembre 2007.
(4)«Decisive inaction», The Financial Times, Londra, 11 settembre 2008.
(5)Tipo di crediti immobiliari concessi a mutuatari dalla solvibilità molto dubbia, quando non sconosciuti al sistema bancario.
(6)L'episodio Lehman è stato scatenato dall'annuncio del fallimento dei negoziati in vista di una partecipazione della banca di sviluppo coreana Kdb.
(7)Leggere Ibrahim Warde, «Fondi sovrani. Predatori, salvatori o abbindolati?», Le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 2008.
(8)Negli ultimi giorni Wachovia è stata incorporata da Wells Fargo che l'ha sottratta a Morgan Stanley, mentre WaMu è finita in mano a JpMorgan, Ndt.
(9)I warrant sono opzioni, cioè diritti a comprare azioni.(Traduzione di G. P.)
Autore: Frédéric Lordon
Fonte: www.monde-diplomatique.it
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mercoledì 3 dicembre 2008
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